Nella conca di Prêz si possono rilevare le tracce di un antichissimo lago, la cui memoria si perde nel tempo.
Neppure i più vecchi lo videro con i loro occhi; ma, per sentito dire, raccontavano che, nei tempi dei tempi, sulle rive ridenti d’erbe e fiori viveva in una grotta una fata.
Con la gente non era né buona né cattiva; ma si prendeva cura del lago, così le acque, sempre limpide e pure, donavano piacevole frescura ai boschi circostanti e, defluendo, irrigavano i campi e i prati, che erano verdi e rigogliosi.
Della fata i montanari conoscevano soltanto la voce, perché, quando era felice, cantava, ed il suo canto dolcissimo si spandeva per tutta la vallata. Si diceva che fosse assai bella, ma nessuno l’aveva mai accertato coi suoi occhi, poiché la fata non voleva esser vista ed evitava la presenza umana, spesso trasformandosi in serpe, per nascondersi meglio.
Un giorno due pastorelli, che sedevano tranquilli al riparo di una roccia, udirono levarsi un canto a non molta distanza da loro.
“E’ una donna che canta”, disse il maggiore.
“Ma non conosco nessuna donna che sappia cantare così”.
La voce s’avvicinava. I ragazzi rimasero immobili in ascolto, trattenendo persino il respiro.
Quando la melodia si spense, nessuno dei due si azzardava a parlare, per timore d rompere l’incanto.
Ed ecco che la fata sbucò da un cespuglio, avvolta come in manto dai lunghi capelli dorati. I pastorelli non avevano mai visto una creatura di tanta bellezza, né chioma così lucente, né occhi simili a quelli, del colore del cielo specchiato nell’acqua.
“E’ la fata del lago!”, bisbigliò il più piccino.
“Ssssst!” lo zittì l’altro, timoroso di spaventarla.
Troppo tardi: la fata si era accorta della loro presenza.
Si coprì anche il volto con i biondi capelli e fuggì verso il lago, così rapida e leggera che l’erba non si piegava neppure sotto i suoi passi.
Seguendo il suo primo impulso, i pastorelli la inseguirono; ma la persero in breve di vista e, giunti sulla riva, si fermarono, per cercare una traccia che non poterono trovare.
A un tratto, sull’altra sponda del lago, scorsero una grossa serpe dalle squame d’oro che brillavano al sole. Non sapevano che ci fossero serpenti così grandi: fuggirono spaventati, rinunciando a cercare la fata.
Per giorni e giorni non si sentì più cantare in riva al lago. Ma spesso chi si trovava a passare di lì avvistava la serpe, che tosto si sottraeva agli sguardi con guizzo repentino.
Un giorno un cacciatore di Fontainemore la sorprese mentre si sporgeva da una pietra sull’acqua per contemplarvisi, come in uno specchio.
Era lì, immobile, senza alcun sospetto, distesa sulla roccia, con le sue scaglie dai bagliori d’oro.
L’uomo imbracciò il fucile e sparò un colpo.
Colpita a morte, la serpe si lasciò scivolare nel lago.
In breve le onde ribollirono di sangue. Poi, lentamente, il livello dell’acqua calò. I flutti presero a defluire nel torrente Pacolla, e di lì si riversarono nel Lys, tingendolo di rosso.
Con la fata serpe morì anche il suo lago.
Sorgenti fino allora abbondanti si inaridirono all’improvviso.
La conca di Prêz si prosciugò e tutto, attorno, intristì poco a poco. Sulle rive scomparve ogni traccia di vegetazione; lungo il declivio, non più irrigato, il suolo si fece arido e brullo.
Fiaba della Val d’Aosta