A quei tempi la valle del Gerina era la più bella delle Alpi svizzere, con grassi pascoli e campi fertilissimi, tanto che la chiamavano «La verde». Nel mezzo c’era un grazioso laghetto, e sulle rive del lago un villaggio lindo e civettuolo. Il proprietario dei pascoli e dei campi si chiamava Aimone ed era un uomo di vecchio stampo, attaccatissimo alle tradizioni, cordiale, generoso, galantuomo sino allo scrupolo, e perciò benvoluto da tutti.
Si diceva che la prosperità del luogo fosse dovuta alla particolare protezione delle Fate, che abitavano in una caverna sulla roccia sovrastante la vallata. Certo è che Aimone faceva mettere ogni mattina un secchio di latte su una grossa pietra a forma di altare che era proprio sotto la rupe, e qualche minuto dopo il secchio era vuoto. Chi lo vuotava, e come? Nessuno era riuscito mai a saperlo: fin che qualcuno rimaneva lì vicino al secchio a spiare, il secchio restava pieno. Il padrone del resto aveva proferito terribili minacce contro coloro che si mostrassero in proposito troppo curiosi; e ognuno sapeva ch’egli era un uomo da mantenere ciò che prometteva.
Ma un giorno Pietro, il figlio del padrone, un giovinetto di forse quindici anni, volle penetrare il segreto di quel latte che scompariva cosi misteriosamente; e, appena il secchio fu messo sulla pietra, egli si mise li di guardia e vi restò tutto il giorno. A sera, il secchio era ancora pieno; ma il latte s’era guastato e si dovette buttar via. Quello stesso giorno mori la più bella capretta del gregge, la preferita di Pietro. Quando questi tornò a casa, il padre lo chiamò nella sua camera e, chiusa la porta e la finestra perché nessuno udisse, gli parlò in tono grave:
— Ascoltami bene, figlio mio. Tu non sei più un bambino ormai e certe cose le puoi capire. Per fartele capir meglio, ti svelerò un segreto che si è conservato per secoli nella nostra famiglia, trasmesso da padre in figlio. Tu conosci il Rubly, la roccia che domina la nostra vallata, e sai che circa alla metà di essa si apre una grotta: là dentro abitano da secoli due Fate che proteggono la nostra famiglia e la nostra alpe. In ricompensa di questa protezione, ogni mattina faccio portare sulla pietra che sai un secchio di latte. Sono le Fate che scendono a prenderlo e se lo bevono: è l’unico loro nutrimento. Ma guai a colui che volesse impedire alle Fate di prenderlo, guai al temerario che osasse esplorare la loro grotta! Tu oggi hai commesso appunto il primo di questi sacrilegi, e stasera la tua capretta favorita è morta. Ti consiglio perciò di non voler ripetere più il tuo atto insano.
Pietro, stupito per le parole che udiva, passò tutto il giorno seguente a guardar di lontano la roccia e la caverna che vi si apriva a metà; e a furia di fissarvi lo sguardo, gli parve di vedere infatti due forme bianche e leggiere fluttuare nel sentiero verdeggiante che menava alla grotta. Da quel giorno credette fermamente alle Fate della Verde e si sarebbe guardato bene dal tentare ancora l’esperimento che gli era costato già la perdita della capretta favorita.
Passarono gli anni, e Pietro divenne un bel giovane, laborioso e gagliardo. Era capitata in paese una bellissima fanciulla forestiera, di nome lolanda. Si diceva che venisse dalla città e che fosse figlia di un signore: certo i suoi modi erano assai più gentili di quelli delle valligiane, e anche la sua bellezza aveva qualcosa di più fine e delicato. Pietro avrebbe dato chi sa che per sposarla; ma la ragazza si mostrava restia alle nozze, e ogni volta che il giovane gliene aveva parlato, ella, severa, aveva deviato il discorso.
Un giorno un pastore, sceso dai monti che sovrastano la valle, aveva regalato a Pietro uno strano ciottolo molto pesante, di tinta nerastra, con certe venature che, a guardarle da certi punti di vista, luccicavano come pagliuzze d’oro. Pietro aveva mostrato il ciottolo alla bella lolanda, che nel vederlo si era subito trasfigurata.
— Senti, Pietro — gli aveva detto — se tu riesci a trovare la miniera d’oro che è certamente nel Rubly, io ti sposerò. Ma non tentar neppure di cercarla da solo: esporresti inutilmente la tua vita, e morresti come i tanti che ti hanno preceduto. Bisogna che nelle ricerche ti guidi una Fata. Sai tu se in questo paese ce ne siano?
— Si — rispose impudemente il giovanotto — ne conosco due.
— Ebbene, eccoti una preghiera magica che costringerà le due Fate che tu conosci ad indicarti la miniera.
E, cosi dicendo, tirò fuori dal seno una pergamena coperta di caratteri rossi, e la porse a Pietro. Che lotta fu quella che sconvolse per i tre giorni successivi il cuore del povero ragazzo! Da una parte c’era il rispetto dovuto alle Fate protettrici della sua famiglia e della vallata (come avrebbe osato far loro violenza?); dall’altra parte c’era il suo amore per lolanda. Vinse l’amore. E in una fosca notte d’estate (grossi nuvoloni si rincorrevano nel cielo) il giovane parti per la montagna. Arrivato che fu sul sentiero che conduceva alla caverna delle Fate, dovette fermarsi, perché il cuore gli batteva forte. Poi riprese cautamente il cammino e arrivò all’ingresso della grotta che nessuno finora aveva mai violato. Accese una torcia a vento e si mise a leggere la formula magica scritta sulla pergamena. Non appena ebbe pronunziate le prime parole, tutta la montagna cominciò a tremare dalle fondamenta, un fragore terribile usci dal profondo dell’antro e si ripercosse per tutta la valle; lampi squarciavano il cielo, e la rupe, oscillando sulla sua base, precipitò con spaventoso fracasso sui prati sottostanti.
Quando sorse l’alba, illuminò uno degli spettacoli più tragici di desolazione: i bei pascoli della Verde erano spariti e al loro posto c'era un terreno squallido, seminato di macigni e di sassi. Di Pietro non si seppe più nulla: non si riusci nemmeno a ritrovare il suo cadavere.
(Leggenda svizzera)