Eretto tra il IX ed il X secolo, il castello di
Fumone (comune italiano di 2.220 abitanti della provincia di
Frosinone, nel Lazio
Lazio) è famoso non soltanto per essere stato la prigione di
Celestino V, nonché il luogo della sua morte, ma anche per ospitare uno straordinario giardino pensile, che, con i suoi 800 m s. l. m., è il più alto d’Europa ed è da sempre conosciuto come “
la terrazza della Ciociaria”. Il toponimo “
Fumone” deriverebbe dal fatto che alla vista dei nemici, dal culmine di un’alta torre (oggi scomparsa) si levava un’enorme colonna di fumo: essa avviava un sistema di segnalazioni simili a catena, che coinvolgeva paesi limitrofi come Rocca di Cave, Castel San Pietro, Paliano, Lariano, Serrone e Castro dei Volsci, e che giungeva infine alle mura capitoline, avvertendo così la “
città eterna” dell’imminente pericolo. Nella zona si diffuse il celebre detto: “
Quando Fumone fuma tutta la campagna trema”.
Leggende e orrori.
Da sempre il Castello di Fumone è custode di segreti arcani e memorie drammatiche. Sede fin dall’XI secolo di una piccola prigione della Chiesa, la rocca nel Medioevo era tristemente nota per le condizioni disumane in cui versavano i detenuti e per le torture che vi si praticavano. Di solito essere condannato alla prigionia a Fumone equivaleva ad essere condannato alla morte più atroce. Losche immagini venivano tramandate di questo luogo dalle origini oscure: secondo alcuni studiosi, infatti, il toponimo “Fumone” non deriverebbe, come viceversa prima accennato, dalla colonna di fumo che si sprigionava dal maniero, bensì dalle nubi grigio-nere che una tradizione popolare vuole si addensassero misteriosamente e costantemente su di esso.
Ad ogni modo, la visita al castello pare confermare tali premesse non certo confortanti. Appena entrati nel castello, dopo un’iniziale breve ma ripida rampa di scale, il visitatore ha già la sensazione di essere fuori dal tempo. Le luci soffuse, il rosso delle pareti, il silenzio creano da subito un’atmosfera tetra e angosciante che sfocia nel primo ricordo tragico conservato all’interno dell’edificio: il “
Pozzo delle Vergini”. In origine probabilmente situato all’aperto, questo pozzetto stretto e profondissimo è storicamente legato alla pratica dello
Jus primae noctis, diffusa nel Medioevo: come è noto, sulla base di questo diritto, le donne appena spostate dovevano giacere la loro prima notte di nozze con il signore del posto; e, quel che più contava, dovevano giungervi vergini, pena la morte o qualche orripilante tortura. A Fumone il castigo previsto per le inadempienti era veramente perentorio: le povere disgraziate che erano scoperte “impure” dal loro aguzzino venivano immediatamente e senza pietà gettate nel suddetto pozzo, al fondo di cui – pare - svettassero lame affilate: nella nera cavità le loro urla risuonavano fortissime per poi svanire in una quiete demoniaca.
Presenze spettrali del castello.Nell’archivio del castello, tra importanti ed antichi documenti, riposa, un po’ defilata, in un angolo, una piccola credenza. Al suo interno è celato il ricordo di una vicenda tra le più spaventose del posto. La guida infatti inizia a raccontare la triste e macabra storia del “
marchesino”, avvenuta nel XIX secolo. Ultimo fratello dopo sette sorelle, il piccolo
Francesco Longhi, quale primo figlio maschio, avrebbe avuto in eredità tutti i beni di famiglia. La tradizione vuole che le perfide sorelle, invidiose e per nulla intenzionate a perdere le proprie ricchezze (magari finendo suore contro la propria volontà o spose di qualche uomo indesiderato) decisero quindi che l’odiato fratellino doveva perire. Lo uccisero giorno dopo giorno, in maniera torbida ed ambigua, senza lasciare tracce, mettendo cioè quotidianamente nella sua scodella minuscoli pezzetti di vetro. In breve tempo comparirono i primi dolori che divennero via via più atroci, sino a trasformarsi in una lenta e terrificante agonia: morì alla tenera età di cinque anni. La madre, allora, straziata dal dolore causato dalla perdita di quel figlio tanto atteso ed amato, ordinò, disperata e delirante, che le sue spoglie fossero “imbalsamate” con la cera e poste in una teca di cristallo, cosicché se ne potesse eternarne la memoria. E così è stato. Aperto lo sportello del mobiletto, l’impressionante salma viene offerta alla vista, allo stupore e al raccapriccio degli astanti, mentre i tanti quadretti che ritraggono lo sguardo triste del fanciullo sembrano osservarli. Tutt’ora non è chiaro il metodo usato per la mummificazione: il dottore morì subito dopo il lavoro in circostanze oscure. Secondo una leggenda nota agli abitanti di Fumone, il castello sarebbe infestato dal fantasma di
Emilia Caetani Longhi: sembra che ogni notte ella, con passo inquieto e riecheggiante, si rechi a trovare il figlioletto, lo prenda in braccio ed inizi a dondolarlo tra nenie e lamenti. Ma pare che anche lo stesso “
marchesino” non abbia abbandonato il castello, e che il suo spirito dispettoso si diletti a nascondere o spostare piccoli oggetti. Inoltre, come se non bastasse, saltuariamente dai sotterranei si udirebbero le urla e i gemiti degli spettri dei prigionieri dei sotterranei, la cui anima, dopo la tormentata esperienza terrena, non trovò mai riposo.
Tratto dal libro "Lazio: i luoghi del mistero e dell'insolito"
Autori: Daniela Cortiglia e Luca Bellincioni