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| Titolo: La Leggenda del Bandito-Eremita Mar Ott 18, 2011 3:31 pm | |
| Da Monte dei Bianchi, guardando verso Ugliancaldo (frazione del comune di Casola in Lunigiana, in Provincia di Massa-Carrara), si scorgono in alto alcuni ruderi. Sono i resti di un monastero fatto erigere dal nobile veronese e famoso bandito Matteo Filippo Caldani. Questo brigante aveva scelto la Valle del Lucido come rifugio ideale per compiere con i suoi compagni di ventura furti e rapine ai danni di quanti attraversavano la Lunigiana percorrendo la via «Francigena» diretti verso i luoghi della fede. La Via Francigena era parte di un fascio di vie che conduceva alle tre principali mete religiose cristiane dell'epoca medievale: Santiago de Compostela, Roma e Gerusalemme e pertanto era percorsa ogni giorno da comitive di mercanti e da centinaia di viandanti e pellegrini. Queste comitive erano le prede preferite dal Caldani e dai suoi masnadieri che, dopo aver fermato i malcapitati con uno stratagemma, li depredavano di tutti i loro averi lasciandoli tramortiti a terra. Un giorno di maggio il bandito faceva ritorno al suo covo con i cavalli carichi di bottino dopo aver compiuto una sanguinosa scorreria, quando la sua attenzione fu attratta dal suono di una campanella. Fermata la comitiva il bandito fu estasiato dal suono celestiale proveniente dall'interno di una chiesetta dove alcune fanciulle cantavano le lodi alla Madonna. A quella vista Caldani si turbò: ebbe orrore della vita che stava conducendo, provò grande senso di colpa e si interrogò se quella vita fosse giusta. Nello stesso tempo si scatenò un furioso temporale: i fulmini e i tuoni squarciavano il cielo che diventava sempre più scuro, il vento addensava nubi minacciose mentre in lontananza si intravvedevano sinistri bagliori. Sotto la pioggia battente i banditi raggiunsero la Maestà di Vezzanello dove Caldani sciolse la banda e licenziò servi e compagni di ventura. Ognuno prese la sua strada. Matteo Filippo Caldani, raggiunto il fiume Lucido, scese da cavallo e decise di cambiare vita radicalmente: con un colpo sulla groppa allontanò il cavallo che portava ancora legato alla sella lo scrigno pieno di preziosi e ne gettò la chiave nelle impetuose acque del fiume dicendo: «E'' più facile ritrovare questa chiave che salvare la mia anima...». Guadò a piedi il fiume e si inerpicò sul monte San Giorgio e lassù su uno sperone di roccia iniziò a far vita da eremita. Trascorreva le giornate in meditazione cibandosi di bacche selvatiche e di castagne. D'estate il sito era ameno e l'eremita poteva godere del clima benevolo, ma d'inverno le violente bufere di libeccio e le crude raffiche di tramontana rendevano oltremodo dura l'esistenza del penitente la cui fama si era sparsa in tutti i paesi della Lunigiana. La gente per devozione portava cibo all'eremita che indossava un logoro saio e digiunava sempre. La vigilia di Natale un pescatore aveva catturato nel Lucido, non senza aspra resistenza, una eccezionale trota del peso di oltre tre libbre e riconoscendo nella prodigiosa pesca la mano divina, volle farne dono all'eremita. Percorse quindi il sentiero del Monte San Giorgio mentre la neve cadeva a larghe falde; raggiunse l'eremo portando in dono la trota. E allora avvenne il miracolo: nel ventre del pesce fu ritrovata la chiave gettata nel fiume! Questo fu il segno che, oltre al perdono degli uomini, era arrivato il perdono di Dio. Il Caldani fondò allora l'Eremo di San Giorgio, dove visse fino alla sua morte in solitudine. (Leggenda della Lunigiana) | |
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