Arwen Druido
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| Titolo: Il Nuovo Regno : Dalla XVIII Alla XX Dinastia Ven Nov 04, 2011 11:40 pm | |
| Nuovo Regno
(1567 – 1080 a.C.) Dopo il Nuovo Regno termina la storia classica dell’Egitto, che non avrà più la potenza né la magnificenza delle epoche precedenti, e comincerà un lungo declino, una sorta di Terzo periodo intermedio all’infinito. Ma, prima dell’inizio di questa lunga agonia, ci fu un periodo molto interessante e ricco di avvenimenti, il Nuovo Regno appunto, che presenta diversi elementi di novità rispetto alle epoche precedenti. La regione tebana, raccogliendo l’eredità di una lunga resistenza contro gli oppressori, diviene il centro amministrativo, mentre, fino ad allora, la zona prediletta era stata quella di Menfi e del Medio Egitto. Lo spostamento della capitale risponde a una necessità geografica; l’espansione verso sud è giunta fino alla quarta cataratta, presso Napata, e l’Egitto si estende ormai dal diciassettesimo parallelo fino al Mediterraneo, su una lunghezza di più di 2260 Km. Per controllare e sfruttare un territorio cosi vasto, è normale che la capitale si insedi al centro, e ciò e ancora più necessario poiché, data la situazione attuale, l’Egitto reperisce la maggior parte delle risorse proprio dal suo impero africano: oro, materie prime (legno, pelli, avorio, gomma, pietre dure, ecc.), bestiame e, soprattutto, uomini per il suo esercito. Senza l’apporto africano la penetrazione egiziana in Asia sarebbe stata impensabile. Il Nuovo Regno differisce dagli altri periodi anche per la politica estera. Mentre la politica militare del Medio e soprattutto dell’Antico Regno era caratterizzata da una tattica difensiva (che non escludeva incursioni in territorio nemico), nel Nuovo Regno viene inaugurata una politica di conquista, o, per dirla con un altro termine, imperialista. Questo atteggiamento è una novità per l’Egitto. Dopo due secoli di invasioni da parte di popolazioni asiatiche, gli egiziani cercano di evitare questo pericolo estendendosi il più possibile a est; cercano di porre quanto più spazio possibile tra loro e i turbolenti nomadi asiatici, più o meno confederati, che sono a loro volta pressati dal regno di Mitanni, fondato da conquistatori ariani, posto tra l’Oronte e l’alto Eufrate. Questa nuova politica segna profondamente la civiltà egizia che, fino ad allora, nonostante le invasioni e le penetrazioni straniere, era sempre vissuta nello stesso luogo. Ora, penetrando profondamente in Oriente, viene a contatto con le grandi civiltà orientali e, pur restando se stessa, subisce modifiche. Gli usi, gli armamenti, persino la vita di tutti i giorni, cambiano. L’Egitto, che aveva sino ad allora manifestato un gusto molto sobrio, adotta un lusso tipicamente orientale, come ci testimonia la ricchezza inattesa, a volte fin troppo pesante, della tomba di Tutankhamon. L’arte di questo periodo guadagna in grazia e fascino ciò che perde in potenza, e questo è un altro aspetto del genio egiziano.
XVIII Dinastia (1548-1292 a.C.) Il destino aveva decretato che il vincitore definitivo degli Hyksos non fosse Kamose. Questa gloria doveva toccare al suo successore, Ahmose I (Amosis in Manetone), che le generazioni future avrebbero onorato come fondatore della XVIII dinastia. Vi sono testimonianze che il re Amosis trattava tutti i suoi soldati con grande generosità, come, del resto, si meritavano. Manetone gli attribuisce venticinque anni di regno, ed è una cifra che non deve scostarsi troppo dal vero. Il figlio e successore Amenophis I (Amenhotpe, nei geroglifici) continuò la politica del padre, ma con qualche differenza. Fin qui lo scopo principale era stato quello di restituire all’Egitto i suoi legittimi confini, ora nasceva il desiderio di “estendere i confini”, frase d’uso comune d’ora in poi, ma prima raramente usata, tranne una volta o due sotto la XII dinastia. La maggiore preoccupazione di Amenophis era la Nubia. Durante il regno di Amenophis c’imbattiamo per la prima volta nel titolo, che rimarrà poi stereotipo, “Figlio del re di Cush”. Alla morte di Amenophis I (1528 a. C. circa) il Nuovo Regno o l’Impero, come viene detto talvolta, era ormai saldamente instaurato e doveva proseguire per più di centocinquanta anni d’ininterrotta prosperità. Tebe ne era la città più importante, e Amon-Ra, la divinità principale di Karnak, faceva finalmente valere il suo diritto al titolo di “Re degli Dei” che da tanto tempo portava. La lotta contro gli Hyksos che coinvolse tutti gli Egizi, il formarsi di una classe sociale media costituita da veterani in pensione, il gusto della conquista e dell’avventura sono gli elementi nuovi di questo periodo, diversi da quelli del passato che vedevano una società casalinga e tradizionalista. La nuova politica introdotta in questo periodo non è gradita dalle classi dominanti tradizionali e ciò comporta una crisi dinastica, impegnata a discutere i diritti ereditari al trono tra la regina Hatshepsut e suo fratello Thutmosis III (tra il 1500 e il 1450 a.C.). La regina celebra, nel suo tempio funerario di Del El-Bahri, la sua nascita divina, le costruzioni templari e le pacifiche imprese commerciali (il viaggio al favoloso paese di Punt). Hatshepsut, che per essere accettata dal popolo si vestiva e si atteggiava come un uomo, impostò il suo governo sullo sviluppo del commercio abbandonando l’aspetto espansionistico. La rivalità col fratello, grazie all’appoggio del clero di Amon, si risolse in favore di Thutmosi III che, con la sua politica espansionistica, portò i confini dell’Egitto fino all’Eufrate a nord e alla quarta cateratta a sud. Lo smisurato ampliarsi del regno porta l’Egitto a contatto con imperi finora sconosciuti, che porranno termine alla vecchia monarchia egiziana, abituata a regnare da sola. Un nipote di Thutmosi III, Thutmosi IV (1425-1405 a.C.) sposò la figlia del re dei Mitanni e concluse molti trattati con il re degli Ittiti. Questo atteggiamento provocò una reazione di restauro dell’antica autorità del Faraone che si concretizzò con Amenhotep IV (chiamato anche Amenofi IV o Akhenaton, 1370-1352 a.C.) che, oltre ad affrettarsi a concludere trattati di alleanza con i popoli della Siria e a scegliere nel paese dei Mitanni, nemici secolari, la sua sposa Nefertiti, diede avvio, per sottrarsi al peso sempre più autorevole del sacerdozio di Amon, ad una profonda riforma religiosa, sostituendo il sole (Aton) a tutti gli altri Dei e dichiarandosi unico rappresentante in terra della divinità. Forte di questa nuova fede confisca i beni del clero di Amon, abbandona Tebe per una nuova capitale (Akhetaton), ostenta una frattura con il passato e costituisce una nuova classe dirigente. Amenhotep IV muta persino la lingua ufficiale, riconoscendo valore letterario al volgare parlato anzichè all’aulica, lingua ufficialmente in uso nella XII dinastia. Il popolo, toccato nella sua fede tradizionale, la nobiltà e il clero, colpiti nei loro interessi, lasciano solo il re che, nonostante avesse ben interpretato gli impulsi religiosi della sua epoca, voleva attuare una monarchia assoluta e teocratica ormai inaccettabile. Prima di morire il re tentò di giungere ad un compromesso, ma dopo pochi anni il giovane Tutankaton, unico figlio maschio di Amenhotep IV, mutò il suo nome in Tutankamon rinnegando così la religione monoteista voluta dal padre a favore della religione tradizionale tebana. Il giovane re riportò la capitale a Tebe, restaurò i culti nel loro primitivo splendore e restituì ai templi ancor più di quanto essi avessero perduto durante il periodo della riforma. Purtroppo Tutankamon morì dopo pochi anni di governo in maniera misteriosa lasciando una situazione politica molto confusa e difficile. Eie, il suo successore, morì anch’egli molto presto, dopo pochi mesi di regno senza lasciare eredi. L’intervento dei sacerdoti, che così evitarono di lasciare il Paese in preda a lotte di successione, permise a Haremhab, un abile e valoroso soldato, di salire al trono. Il suo governo affermò completamente il culto di Amon, facendo scomparire ogni ricordo del Faraone eretico, ristabilì l’ordine interno e punì i popoli che si erano ribellati all’Egitto dando inizio alla XIX dinastia.
XIX Dinastia (1292-1186 a.C.) Dopo essersi riavuto dalla rivoluzione religiosa l’Egitto fu un mondo diverso. Non è facile definire l’esatta natura dei mutamenti avvenuti, perché molte sono le eccezioni, ma è impossibile non osservare un sensibile deterioramento nell’arte, nella letteratura e nella cultura generale della popolazione. Negli scritti di questo periodo la lingua si avvicina di più alla lingua parlata e fa sue molte parole straniere. Le copie degli antichi testi sono incredibilmente trasandate, come se gli scribi non riuscissero più a intenderne il significato. A Tebe le tombe non mostrano più le vivaci e liete scene di vita quotidiana che caratterizzavano quelle della XVIII dinastia, ma si dedicano piuttosto a descrivere i pericoli che attendono nell’aldilà. Il soggetto preferito è il giudizio del cuore davanti a Osiride, e il Libro dei Cancelli illustra gli ostacoli che s’incontreranno nel viaggio notturno attraverso gli Inferi. Gli scarsi frammenti provenienti da Menfi presentano rilievi di un’eleganza alquanto maggiore. Altrove, le pareti dei templi sono ornate di vivaci scene guerresche, ma la fattura è relativamente rozza, e le didascalie sono spesso più adulatrici che istruttive. Malgrado tutto, l’Egitto di questo periodo offre ancora uno spettacolo di magnificenza e grandiosità che, per la maggior abbondanza di monumenti, è meglio conosciuto dal turista odierno che non le opere di gran lunga più raffinate delle epoche precedenti. Sotto Ramses II, o poco prima, incomincia ad assumere un’importanza di primo piano una fonte del tutto nuova d’informazioni storiche e culturali. Anche se il faraone viveva e reggeva il governo in una o l’altra delle capitali del delta, la sua suprema ambizione era sempre quella di esser sepolto nella necropoli avita di Tebe, e fin dagli inizi del regno una vasta corporazione di abili artigiani era di continuo impegnata a scavare e decorare la sua tomba a Biban el-Muluk. Questi uomini e le loro famiglie costituivano una particolare comunità che abitava nel villaggio di Deir el-Medina sulle alture del deserto sovrastanti il grande tempio funerario di Amenophis III, e ogni aspetto della loro vita e dei loro interessi è rivelato dai testi trovati colà o ancora sul posto del loro lavoro quotidiano. Dato che i papiri erano relativamente costosi, deperibili e rari, la maggior parte di quanto è rimasto è incisa su quei frammenti di calcare o di coccio che giacciono sul terreno abbondanti e facilmente reperibili che ora gli egittologi chiamano col nome, alquanto improprio, di ostraka. Oltre a frammenti letterari, religiosi e magici, vi sono registrazioni di scambi, pagamenti di salari in frumento o rame, noleggio di asini a scopo agricolo, procedimenti legali, presenze o assenze dal lavoro; vi sono lettere e modelli di lettere, appunti, insomma, di ogni genere. Con la XIX dinastia inizia la cosiddetta età ramesseide che durerà sino alla XXI dinastia, ossia dal 1320 al 1085 a.C. Con l’avvento al trono di Ramses I, l’Egitto assume una diversa consistenza sociale e politica. Viene rivalutato il culto di Amon, la città di Tebe diviene città sacra anche se la capitale viene spostata a Menfi ed a Tanis (la culla della dinastia). Tebe rimarrà il luogo dove i re vengono sepolti, ma non più quella dove essi regnano. Amon rimane il dio protettore della dinastia anche se viene affiancato dal vecchio dio solare Ra e dagli dei di Menfi (Ptah) e di Tanis (Seth). La vecchia classe cortigiana perde d’influenza a vantaggio della classe militare e a quella degli impiegati. Viene adottata come lingua ufficiale il neo-egiziano. Il re stesso diviene un personaggio paterno che interviene per lodare i suoi operai, i suoi soldati e, addirittura, i suoi cavalli. S’instaura quindi un vero e proprio culto del re a livello popolare e non più soltanto teologico e templare. Questa nuova base popolare, su cui si poggia il potere, viene espressa anche nella letteratura, nell’artigianato e nelle arti figurative che perdono parte della loro qualità, di gusto sicuro e squisito, a vantaggio di una più immediata capacità espressiva. I difficili rapporti con la Siria permettono ad altri imperi, soprattutto gli Ittiti, di esercitare, sulle stesse regioni, il loro predominio. Il nuovo re Sethi I, dovette affrontare in battaglia gli Ittiti, comandati dal loro re Mursilis, che costrinsero Sethi I a concludere un trattato che lasciava all’Egitto il solo possesso della Palestina meridionale. Nello stesso periodo, la regione del Delta del Nilo viene invaso dai “popoli del mare” (Cretesi, Achei e Fenici appoggiati dai Libi) che però Sethi I riesce a respingere mettendo suo figlio Ramses II al potere. Ramses II sarà il più celebre sovrano del tempo anche grazie alla lunghezza del suo regno (1299-1232 a.C.). Il nuovo re fu in grado di riprendere la lotta contro gli Ittiti non senza superare grossi pericoli come quando, nel 1296 a.C. a Kadesh, viene sorpreso dal re Muvatalli che aveva schierato più di 2000 carri da guerra. Per Ramesse II fu una grande impresa portare in salvo il suo esercito. Dopo aver sposato la figlia del re ittita Hattusilis II, si dedica a opere di pace come la costruzione di importanti centri di culto come quelli di Karnak, di Luxor e di Abu Simbel che gli valsero l’appellativo di “Costruttore”. La solidità del Paese durante il suo lunghissimo regno non impedì al suo figlio e successore Merenptah di affrontare un nuovo ed inatteso pericolo. Una stele narra la sua vittoria contro gli invasori che da oriente e da occidente tentavano di penetrare in Egitto e che venivano identificati come “popoli del mare”. Tali popolazioni, Sardi, Tirreni, Siculi, Danai e Filistei, rappresenteranno un costante pericolo anche negli anni successivi. Alla morte di Merenptah, il figlio Sethi II si trovò a dover affrontare un periodo di gravi turbamenti interni e, dopo alcuni anni di travagliato governo, morì lasciando il regno esposto ad una lunga serie di intrighi e rivoluzioni. Di questa situazione approfittò il principe siriano Irsu per impadronirsi del trono d’Egitto. I frequenti prelevamenti di fondi dal tesoro dei templi, per far fronte alle spese di governo, gli costarono la simpatia dei sacerdoti che gli opposero un altro pretendente al trono, Setnakht, il quale, dopo essere riuscito a vincere gli attachi del nemico e gli intrighi di palazzo, fondò la XX dinastia.
XX Dinastia (1184-1078 a.C.) Della XX dinastia Manetone non dice altro se non che consistette in tutto di dodici sovrani di Diospoli (Tebe), i quali regnarono 136 anni secondo Sesto Africano, o 178 secondo Eusebio. Pur così breve fu un periodo di eventi emozionanti, contò almeno un grande faraone e lasciò numerosi testi di notevole entità e ricchi di notizie. In quel lasso di tempo i nemici dell’Egitto andavano sempre più avvicinandosi ai suoi confini, forieri delle umilianti sconfitte che, poco più di un secolo dopo, ne avrebbero quasi annientato il prestigio. Gli inizi comunque parvero presagire un’epoca di eccezionale splendore; significativo è un brano che paragona questo a un precedente periodo di depressione in gran parte immaginario: La terra d’Egitto fu gettata alla deriva, e ognuno aveva una propria legge, e per molti anni non vi fu nessuno a governare, finché venne un tempo in cui lo stato egizio era formato da principi e capi di villaggio, e in alto e in basso gli uomini si uccidevano fra di loro. Poi venne un altro tempo fatto di anni vuoti, quando Arsu, un siriaco, si eresse a loro principe e rese tutto il paese tributario sotto il suo dominio. Il testo va avanti a parlare delle stragi che seguirono e della negligenza verso il culto degli dei, fino a che questi non ristabilirono la pace eleggendo re Setnakhte. Di preciso non c’è che un fatto: la comparsa di un condottiero siriaco che conquistò la supremazia su tutto il paese; la sua identità è stata oggetto di molte controversie, e l’ipotesi più interessante è che si tratti di un velato accenno a “colui che aveva fatto il re” Bay, vissuto alla fine della precedente dinastia. Ma l’unico scopo dello scrittore era quello di esaltare il nuovo re dell’Egitto. I regni dei dieci sovrani che compongono questa dinastia, esclusi Setnakhte, Ramses III, Ramses IX e Ramses XI, furono brevi cosicché la durata totale della dinastia risulta alquanto minore della cifra data da Manetone. L’usanza di cominciare la costruzione di una tomba a Biban el-Muluk all’inizio di ogni regno fu costantemente seguita, anche se non tutti gli ultimi Ramessidi furono poi sepolti nel luogo desiderato; e in tre casi le mummie furono per sicurezza trasportate in un secondo tempo nella tomba di Amenophis II. A differenza dei loro predecessori, però, i sovrani della XX dinastia inaugurarono nella Valle dei Re uno stile diverso; invece di essere nascosto, l’ingresso delle loro tombe assunse la forma di un maestoso, visibilissimo portale. Ciò fece delle loro tombe, quando il potere centrale si indebolì, dei luoghi di razzia facilmente accessibili. L’indirizzo generale della storia successiva fa pensare che questi insignificanti sovrani si allontanassero sempre più raramente dal delta dove avevano la loro residenza effettiva, per cui l’importanza e le ricchezze del gran sacerdote di Amon-Ra a Tebe andarono progressivamente aumentando. La costruzione di monumenti scemò notevolmente. Le avventure asiatiche erano finite, e l’ultimo documento di una spedizione nel Sinai risale a Ramses VI. Per contro l’amministrazione della Nubia continuava a seguire i vecchi criteri, ma le notizie al riguardo sono più scarse. Malgrado questo progressivo decadimento, gli annali del dodicesimo secolo prima dell’era volgare non sono del tutto privi di notizie. Sul finire della dinastia, il re era forse l’indiscusso sovrano nel Nord, ma nel Sud il grande pontefice di Karnak dominava con un potere superiore al suo. Gli ultimi regni della XX dinastia sono i più ricchi di testimonianze scritte che non qualsiasi altro periodo della storia egizia. La fonte di provenienza è la sponda occidentale del Nilo a Tebe, in particolare Medinet Habu e il vicino villaggio di Deir el-Medina. L’atmosfera che affiora giorno dopo giorno dai diari di lavoro della necropoli lascia soprattutto un’impressione di generale inquietudine. Per lunghi periodi di tempo gli operai della tomba reale rimanevano in ozio, e ci sono sinistre allusioni, per lo più risalenti agli ultimi anni del regno di Ramses IX, alla presenza di stranieri a Tebe, Libi o Meshwesh. Erano veri invasori o discendenti di prigionieri di guerra incorporati nell’esercito egizio e divenuti abbastanza forti da sollevarsi o almeno creare gravi tumulti? Mancano le prove per rispondere a questa domanda, ma sono per lo meno evidenti le disastrose conseguenze sulla popolazione indigena. Più di una volta le razioni furono distribuite ai lavoratori con due mesi di ritardo. Il bisogno unito all’avidità conduceva inevitabilmente al delitto. I personaggi regali e i nobili dei tempi passati erano stati sepolti con i loro beni più preziosi, e irresistibile era per i vivi la tentazione di spogliare i morti. Le ruberie nelle tombe erano state una pratica comune fin dai tempi più lontani, ma adesso, a quanto pare, questo modo di combattere la miseria si era cosi diffuso da richiedere energiche misure per consegnare i colpevoli alla giustizia.
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