Nelle leggende ebraiche, la
Fenice viene chiamata
Milcham. Dopo aver mangiato il frutto proibito,
Eva divenne gelosa dell’immortalità e della purezza delle altre creature del Giardino dell’Eden. Quindi convinse tutti gli animali a mangiare a loro volta il frutto proibito, affinché seguissero la sua stessa sorte. Tutti gli animali cedettero, tranne la Fenice; x questo motivo Dio la ricompensò ponendola in una città fortificata, dove avrebbe potuto vivere in pace per 1000 anni; alla fine di questo periodo l’uccello bruciava e risorgeva da un uovo che veniva trovato fra le sue ceneri. La fenice è chiamata anche "
custode della sfera terrestre" perchè segue il sole nel suo giro e ,dispiegando le ali, ne ghermisce i raggi infuocati del sole. Se infatti non li intercettasse nè l’uomo nè alcun altro essere sopravviverebbe. Sulla sua ala destra sono scritte a lettere cubitali, alte circa quattromila stadi, queste parole: "
Non è stata la terra a generarmi, e nemmeno i cieli, ma solo le ali di fuoco". Secondo la legenda, la
Fenice si ciba della
manna del cielo e della
rugiada della terra.
Enoc(patriarca antidiluviano, bisnonno di Noè) vide le
fenici quando fu rapito in cielo e le descrisse come creature alate, meravigliose e strane a vedersi , purpuree come l’arcobaleno. Avevano dodici ali come gli angeli, scortavano il carro del sole seguendolo nel suo corso e dispensando calore e rugiada, così come Dio aveva comandato loro.
Nel simbolismo cristiano, essa è la rappresentazione della
resurrezione di Gesù, per questo la sua immagine ricorre frequentemente nell’iconografia delle catacombe.
Anche per gli antichi
Egizi la fenice era simbolo di resurrezione; nel
libro dei morti si trova infatti una formula per far assumere al defunto la forma di
Bennu-fenice. La descrizione del
Bennu Fenice era quella di un’aquila reale, dal piumaggio di colori splendidi, il collo color d’oro, rosse le piume del corpo e azzurra la coda con penne rosee, ali in parte d’oro
e in parte di porpora, un lungo becco affusolato, lunghe zampe e due lunghe piume — una rosa e una azzurra — che le scivolano morbidamente giù dal capo (o erette sulla sommità del capo). In Egitto era solitamente raffigurata incoronata con l’Atef o con l’emblema del disco solare. Nel periodo
Medioevale, secondo gli
alchimisti la Fenice altro non era che la
Pietra Filosofale stessa il simbolo del compimento della
Trasmutazione Alchemica, processo Misterico equivalente alla rigenerazione umana.
Questo uccello è presente praticamente nella mitologia di tutto il mondo. Il racconto forse più famoso è quello contenuto nella "
Storie" di
Erodoto. Qui la
Fenice viene descritta come un essere che vive
cinquecento anni per poi morire bruciata e rinascere dalle proprie ceneri in cima ad un albero sacro, nel tempio di
Eliopolis, in Egitto. Proprio come il sole, che è sempre lo stesso e risorge solo dopo che il sole "precedente" è tramontato, di
Fenice ne esisteva sempre un unico esemplare per volta. Era il simbolo del sole e del dio
Osiride dal cui cuore era emersa. Cosi ne parla
Ovidio (
Metamorfosi) "… si ciba non di frutta o di fiori, ma di incenso e resine odorose. Dopo aver vissuto 500 anni, con le fronde di una quercia si costruisce un nido sulla sommità di una palma, ci ammonticchia cannella, spigonardo e mirra, e ci s’abbandona sopra, morendo, esalando il suo ultimo respiro fra gli aromi. Dal corpo del genitore esce una giovane Fenice, destinata a vivere tanto a lungo quanto il suo predecessore. Una volta cresciuta e divenuta abbastanza forte, solleva dall’albero il nido (la sua propria culla, ed il sepolcro del genitore), e lo porta alla città di Heliopolis in Egitto, dove lo deposita nel tempio del Sole."
Tacito arricchisce la storia, descrivendo come la giovane fenice sollevi il corpo del proprio genitore morto fino a farlo bruciare nell’altare del Sole. Secondo altri scrittori la fenice morta si trasforma in un uovo, prima di essere portata verso il Sole, ove rinasce.
Dante Alighieri così descrive la Fenice (
Inferno XXIV, 107-111): "Così per li gran savi si confessa che la fenice more e poi rinasce, quando al cinquecentesimo anno appressa; erba né biado in sua vita non pasce, ma sol d’incenso lagrime e d’amomo, e nardo e mirra son l’ultime fasce. "